Autore: Maria Emanuela Novelli

E bastava una inutile carezza a capovolgere il mondo  (Alda Merini)

L’IMPORTANZA DELLE CAREZZE

Il tema delle carezze e’ un tema a me particolarmente caro poiché in esse veicolano tanti messaggi, tra i non detti, i detti, i sottointesi, la dolcezza, la comprensione, la necessita’ del pelle a pelle ed altro ancora…..sicuramente tanto altro ancora.

Allora inizio con delle frasi gettate cosi, per pensare e poi scriverò qualcosa inerente alla carezza stessa.

– Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze

– Questo e’ quello che mi sento quando mi accarezzi. Come milioni   

  di piccoli universi che nascono e muoiono nello spazio tra il dito e

  la mia pelle

– In una carezza, in un abbraccio, a volte c’e’ più sensualità che nel

  vero e proprio atto d’amore

– Le persone che sanno accarezzare sono quelle che amano di più.

  La carezza e’ il gesto d’amore più intenso di tutti

– La carezza e’ il ponte tra due abissi di solitudine. Perche’ il cielo e

  la terra passeranno, ma certe carezze non passeranno mai

– La carezza di una persona cara, il contatto con qualcosa di

  morbido culla il nostro dolore meglio di tutti i ragionamenti del

  mondo

– Un uomo si misura dalla gentilezza e non dalla forza. Più il suo

  sfiorarti e’ carezza, anche quando usa le parole, più sarà Uomo

– Che cosa e’ una carezza allora? E’ sentire l’amore che ti passa tra

  le dita

Questo gesto in estinzione, rivoluzionario, incompreso, persino dal vocabolario. Carezza: “Tenera dimostrazione di amorevolezza e di benevolenza un po’ leziosa che si fa lisciando con il palmo della mano. Esempio: far le carezze al gatto”. Va riscoperto il significato profonda della Carezza. Tocco della vita. Il Cristo ha resuscitato i morti con una carezza, c’e’ l’accoglienza. In una vera carezza c’e’ la cognizione del dolore dell’altro, perche’ reggere il voltaggio di una autentica carezza e’ difficile quanto un miracolo. E’ con una carezza che Maometto sposta la montagna e la morte si concilia con la vita.

SEPPUR LEGGERA,UNA CAREZZA HA LA FORZA DI RAGGIUNGERE L’ANIMA

La carezza e’ la prima forza di nutrimento che la madre da’ all’infante. Il bisogno di carezze dura tutta la vita, benché la forma delle carezze cambi e sembri diventare più sofisticata. Nella vita da adulti le carezze sono cosi importanti che per ottenerle si escogitano i sistemi più elaborati. A volte gli adolescenti devono ridursi a rubare le automobili o i motorini o a non rispettare i semafori per avere delle carezze e ciò dimostra che anche le carezze con il bastone sono meglio di niente.

La carezza e’ una qualsiasi azione che comporti il riconoscimento di una persona soddisfacendo cosi la fame di carezze, ciò dal punto di vista della funzione. In qualità di contenuto una “carezza” e’ un messaggio che ci indica l’essere OK o NON OK  dell’altra persona.

La persona passa da un bisogno estremo di molte carezze fisiche, per sopravvivere nell’eta’ infantile, ad un bisogno più vario di carezze, non solamente fisiche. Tutte hanno lo scopo di soddisfare la fame di riconoscimento, per cui un apprezzamento verbale ha per un adulto ha lo stesso significato di una carezza fisica per il lattante: ma anche l’adulto ha bisogno di carezze fisiche, spesso più incisive della vita sessuale all’interno dell’intimità di una coppia. Il corpo o il volto accarezzato e’ una manifestazione di contatto unica, particolare, sensuale e di grande scambio di emozioni e di non detti, spesso difficili da dire.

Da bambini richiediamo istintivamente carezze positive in vari modi. Se la nostra richiesta non ha successo allora ne inventiamo altri, per avere carezze, anche negative, che, pur dolorose, sono meglio di niente.

Nella vita adulta può succedere che chiediamo ancora carezze negative e ciò spiegherebbe alcuni comportamenti che appaiono autopunitivi.

Una carezza rinforza un comportamento. I comportamenti che da bambini piccoli hanno prodotto carezze tendono a essere ripetuti da adulti e ogni nuova carezza rinforza quel comportamento.

Le persone adulte continuano ad essere bisognosi di carezze, ripetono comportamenti per ricevere carezze e se non ve ne sono abbastanza di positive per esaudire il loro bisogno, cercheranno quelle negative. Per cui, chi ha deciso da bambino di cercare le carezze negative per non rischiare di rimanerne senza, può da adulto produrre comportamenti che appaiono autolesivi, per raccogliere proprio quelle carezze negative.

Alcune persone hanno difficolta’ a dare carezze positive, specie quelle fisiche ed in genere provengono da una famiglia avara di carezze positive.

Ciascuno di noi ha le sue preferenze per quanto riguarda il prendere le carezze, ed in genere si e’ abituati a ricevere le stesse carezze. E’ possibile che qualcuno pur volendo riceverne altre, raramente le ottiene, oppure e’ egli stesso che si nega quelle carezze che pur desidera, negando a se stesso il proprio bisogno ancora insoddisfatto.

Ogni persona ha come dire un suo quoziente di carezze preferite e carezze diverse vanno bene per persone diverse, dimostrandosi di bassa qualità o di alta qualità, a seconda della specifica persona.

Ogni volta che lo vogliamo possiamo dare una carezza. Non finiranno mai! Quando le vogliamo, le possiamo chiedere, se offerte prenderle. Possiamo anche rifiutare apertamente una carezza che non ci piace e dare carezze a noi stessi.

Il nostro bisogno di carezze e’ fondato sul bisogno di riconoscimento che e’ esso stesso una carezza, per cui i confini fra carezza buona-positiva e cattiva-negativa non sono netti, essendo la carezza in se stessa positiva, utile per l’individuo, rispondendo al bisogno di riconoscimento.

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“ SE NON SEI CON ME, SEI CONTRO DI ME”

Questo modo di vivere e di pensare fa parte dell’eterno conflitto e della contrapposizione ideologica di molte persone.

Superare questo vecchio motto permette di generare il vero incontro d’amore, o di amicizia profonda, ovvero sia il sapere stare accanto all’altro/a senza fondersi, ma rispettando i propri spazi e e quelli dell’altro/a: ciò vuol dire superare il proprio narcisismo, i propri bisogni e rispettare l’altro/a in una prospettiva empatica.

Oggi giorno purtroppo questo motto e’ sempre più forte e presente, in tutte le aree della vita: dalla politica, alle professioni, nelle relazioni affettive ma anche amicali.

Il bello della vita invece sta proprio nella diversità degli intenti, delle idee, e quindi nello scambio che può essere arricchente nonché generoso verso gli altri.

Non sei con me? E perche’ mai devi essere contro di me? Non sei con me…..basta, non la pensi come me, ma forse mi puoi comunque dare ed offrire una diversa prospettiva della vita che posso osservare, forse non condividere appieno, ma trarne sicuramente qualche cosa di nuovo.

Sei contro di me? Ma perche’ mai! E’ solo che non la pensi come me, ma anche tu puoi trovare qualcosa di buono nelle mie idee, opinioni o ideologie.

Perche’ portare avanti allora questo eterno conflitto che non fa altro che far morire la creatività la socialità’, lo scambio, generare astio  e patologgizzare sempre più una società cosi già sofferente di suo sul piano relazionale?

Proviamo a pensare

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L’uso della cannabis: cosa comporta e genera nell’individuo

Inizio con una sintetica carrellata dei sintomi per poi approfondirne le motivazioni

– perdita di memoria,senso di paura, alterazione della percezione,ebbrezza, allucinazioni,

cambiamenti del tono dell’umore

– sindrome amotivazionale

come per l’alcol: influiscono negativamente sulla comprensione dei testi scritti

difficolta’ ad esprimersi oralmente

Difficolta’ a risolvere problemi

3 sigarette contenenti canapa corrispondono a 20 sigarette normali

può danneggiare i polmoni e far nascere i figli sottopeso

Possono generare danni cerebrali nella comunicazione tra neuroni

Esiste anche il fenomeno della SENSIBILIZZAZIONE, ovvero una quantità innocua per una persona che non ha mai fumato, su di una che ne ha fatto uso (sensibilizzata) produce invece effetti devastanti: le sostanze psicotrope possono alterare i processi neurochimici del cervello e possono influenzare lo sviluppo neurobiologico del cervello dell’adolescente che e’ ancora in un periodo di intensa plasticità neuronale

USO DI DROGHE: MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE E SUE CONSEGUENZE

Spesso i giovani incontrano la cannabis per gioco o per appartenenza al branco, senza sapere a cosa vanno incontro.

La cannabis di oggi non e’ assolutamente quella di un tempo, poiché viene mischiata con altre sostanze o sintetiche o con additivi quali, veleno per topi, sterco, gomma fusa di copertoni di auto ed altro ancora. La stessa “erba” che risulta verde, può contenere sostanze sintetiche trasparenti.

Le motivazioni psicologiche quindi possono partire dal gioco, ma convertirsi con il desiderio di ridere, non pensare, non avere forme di ansia fino ad addirittura spegnere il cervello (come taluni dicono). Ricordo che il pensiero e’ cio’ che ci distingue dagli animali, prezioso per l’uomo. Tutto questo comporta danni non solo sull’apprendimento ma anche sulla concentrazione, nonché sulla memoria. Fondamentale e’ lo sviluppo della sindrome amotivazionale in cui l’individuo perde l’interesse e la voglia di intraprendere e svolgere molte attività utili e stimolanti per la propria vita, lasciandosi andare fino a sviluppare forme di depressione. In una ricerca americana pubblicata due anni fa circa su Focus si e’ potuto dimostrare con un follow up attraverso la risonanza magnetica, cosa provoca l’assunzione della cannabis nel cervello : buchi. Buchi irreversibili che colpiscono le aree più disparate.

Il desiderio di farsi una canna, che non e’ mai solo una, e’ quello di mettere a tacere problematiche più profonde, stati d’ansia o di angoscia, ma e’ un paliativo poiché dopo poco l’ansia riemerge e comporta la necessita’ di un’altra assunzione. Nei consumatori veterani l’assunzione di cannabis determina anche l’emersione di aspetti persecutori o della paranoia. Questa ovviamente e’ una sintesi di ciò che possono provocare quelle che vengono chiamate “droghe leggere” ma che allo stato non sono assolutamente leggere.

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ALESSITIMIA: che cosa e’?

(dal greco  alfa privativo – lexis = mancanza  – thimos = emozioni)

Spesso nella pratica clinica ho potuto riscontrare pazienti con tali caratteristiche, ma non solo, ma anche persone con queste caratteristiche nella vita di ogni giorno

Caratteristiche fondamentali

1. difficoltà di identificare i sentimenti e di distinguerli dalle sensazioni somatiche;

2. difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone;

3. processi immaginativi limitati;

4. stile cognitivo orientato esternamente.

Si tratta quindi di un “disturbo della regolazione degli affetti”.

Le persone alessitimiche hanno difficoltà a comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo e non riescono ad usare le altre persone come fonti di conforto, di tranquillità, di feedback, di aiuto nella regolazione dello stress. La scarsità della vita immaginativa, inoltre, limita la loro possibilità di modulare l’ansia e le altre emozioni negative, attraverso i ricordi, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, il gioco, ecc.

L’incapacità di verbalizzare le proprie emozioni non va considerata quindi come una difficoltà di tipo esclusivamente espressivo ma come una vera e propria limitazione nella possibilità di elaborare le emozioni e di costruire un proprio mondo interno. Oltre che come tratto di personalità relativamente stabile.

“l’anestesia emozionale” sembra avere finalità adattive, rappresenterebbe cioè un massiccio meccanismo di difesa verso la propria realtà interiore fonte di sofferenza e di grosso scompenso.

Alla luce dei recenti lavori di ricerca, l’alessitimia appare molto rilevante per il livello di salute e benessere complessivo dell’individuo: ad oggi è considerata come uno dei possibili fattori di rischio per svariati disturbi somatici e psicopatologici, (disturbi narcisistici della personalità, sindromi borderline etc.) in quanto l’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva genera nei soggetti alessitimici la tendenza a liberarsi da tensioni causate da stati emotivi non piacevoli mediante comportamenti compulsivi quali: l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso, scatti di rabbia (insulti), uso di meccanismi arcaici difensivi come l’identificazione proiettiva (vd sotto *)

Lo stile cognitivo “orientato all’esterno”, cioè la focalizzazione dell’attenzione sull’esterno piuttosto che sulla vita interiore, può portare a amplificare e fraintendere le sensazioni somatiche, scatenando ansia e preoccupazioni ipocondriache, nonché’ totale disempatia verso il prossimo.

Anche la sfiducia interpersonale appare in parte legate al costrutto dell’alessitimia, in quanto coglie altri aspetti del problema della regolazione affettiva: la riluttanza a formare relazioni intime e a comunicare i propri sentimenti agli altri.

Per quanto concerne, infine, la relazione tra alesstimia e disturbi di personalità, è stata ipotizzata una sovrapposizione tra alessitimia e disturbo borderline di personalità.

Grotstein identifica tale disturbo come un disturbo dell’autoregolazione affettiva e sostiene l’esistenza di un’influenza reciproca tra variabili biologiche e psicologiche. Grotstein osserva come tali pazienti, “mancando della capacità di confortarsi da soli normalmente e di confortarsi attraverso relazioni oggettuali, sono costretti a ricorrere a droghe, cibo o altri espedienti al fine di regolare i propri stati psichici”, mancano cioè di capacità di autoregolazione.

In conclusione: il costrutto di alessitimia è definito da caratteristiche cognitivo-affettive comprendenti una significativa difficoltà a identificare gli stati emotivi, distinguere fra affetti e componenti somatiche delle emozioni, comunicare le proprie emozioni agli altri, oltre a uno stile cognitivo concreto e orientato alla verso la realtà esterna, povertà di immaginazione, mancanza di introspezione, scarsa attività onirica, conformismo sociale, tendenza ad esprimere le emozioni attraverso l’azione. Diversi studi in letteratura hanno messo in luce come il costrutto alessitimico, inizialmente associato ai disturbi somatoformi, sia invece riscontrabile in numerose altre patologie psicopatologiche, inclusi i disturbi dell’umore, dell’alimentazione, di personalità e di abuso di sostanze.

* IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA: (cenni) è correlata alla scissione. Consiste in un evacuare, un allontanare da sé un’esperienza completa di sé. Non solo una caratteristica umana viene vissuta come appartenente ad un’altra persona, ma si tratta dell’espulsione in toto di un’esperienza e della parte di sé capace di sperimentarla. Si tratta tuttavia di una evacuazione che riesce solo parzialmente. Il soggetto mantiene una certa risonanza con l’esperienza che ha proiettato. Cioè egli continua a sperimentare dentro di sé le emozioni ed i significati che ha proiettato sull’altro. Ma lo sperimenta come se provenisse dall’altro. Egli è convinto che sia colpa dell’altro se sta facendo quell’esperienza.
L’identificazione proiettiva crea, e quindi quasi sempre trova, conferma dei suoi assunti. Perché ne crea le condizioni. Si assiste spesso a questa sorta di induzione di esperienza dell’altro. L’identificazione proiettiva è  una difesa altamente patologica che finisce per indebolire ed impoverire il Sé, privandolo di intenti settori di esperienza.

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Perché con l’Emdr si possono risolvere i traumi anche più antichi:permane il ricordo ma non la sofferenza legata al trauma

L’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un approccio terapeutico utilizzato per il trattamento del trauma e di problematiche legate ad esperienze difficili non completamente elaborate.
L’EMDR si focalizza sul ricordo dell’esperienza traumatica ed è una metodologia completa che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra per trattare disturbi legati direttamente a esperienze traumatiche o emotivamente dolorose. Infatti , pur essendo abituati  a considerare come traumatici eventi catastrofici quali  incidenti, terremoti, perdite traumatiche, abusi sessuali ,le esperienze che creano stress anche a lungo termine , non sono solo quelle che hanno le caratteristiche di un evento fuori dalla portata degli esseri umani . Essere stati vittime di bullismo , aver perso precocemente  un genitore,aver vissuto con un genitore molto vulnerabile o depresso , essere stati umiliati  da bambini,aver subito un abuso psicologico,una forte perdita affettiva, in amore o in famiglia,un disturbo post-traumatico da stress, sono situazioni che se non elaborate hanno un importante impatto emotivo contribuendo al malessere delle persone e delle loro relazioni. Dopo un ciclo di sedute di Emdr il paziente riferisce di ricordare ancora l’evento ma di sentire che fa veramente parte del passato e questo permette di di non esserne così influenzato e vedere l’evento come un “ricordo lontano”, non più disturbante o impattante nel presente.L’Emdr ha più efficacia all’interno di un rapporto psicoterapeutico.

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Passione, improvvisazione e transfert tra Psicoanalisi e Jazz

“Senza voce non c’e’ parola”

Presentero’ questo scritto, non teorico, ma che si rifa’ strettamente alla passione,alle mie due passioni che da sempre cerco di coniugare.

La grande passione sia per la psicoanalisi che per il jazz (come cantante) mi porta a presentare ai colleghi questo lavoro in cui vorrei mettere in evidenza quanti punti di contatto esistono tra queste due passioni e che legame profondo le unisce.La mia infanzia e’ stata accompagnata dall’ascolto della musica jazz grazie a mio padre che mi aiutava ad ascoltarla e anche a sapere ascoltare i singoli strumenti. A questo punto della mia vita posso dire che mi abbia insegnato l’ASCOLTO.
Penso che il desiderio umano di cantare, di darsi un ritmo o di fare musica nasca dalla precoce esperienza sonora del feto che ascolta la voce materna, il ritmo cardiaco e i gorgoglii del liquido amniotico:un rapporto basato anche sull’improvvisazione,laddove il bambino risponde alle sollecitazioni vocali materne articolando i primi suoni, improvvisando e creando le prime lallazioni. E l’improvvisazione poi attraverserà’ tutta la nostra vita: la nostra voce sarà’ sempre la stessa anche se potrà’ differire.
Nella psicoanalisi la voce nei suoi scarti vocali, inceppamenti, salite di tono, racconta di una persona spesso con più precisione delle parole; non si può fare analisi senza la voce, senza il suono.E allora la voce dell’analista può diventare il padre, la madre,l’accoglienza,il rimprovero,un caldo abbraccio,una scudisciata. E nella circolarita’ dei suoni avviene gran parte della cura psicoanalitica.
Nel canto jazz, come nell’analisi, un errore di esecuzione può aprire nuove strade, molto più di una esecuzione perfetta ma priva di passione.Si pensi alla riedizione del trauma nel transfert, di rendere visibile l’invisibile e alla possibilità’ di riparare.
E allora penso all’importanza che dava Freud agli ‘scarti’ (sogni,atti mancati,lapsus): la voce e’ lo ‘scarto’ della parola, quello ‘scarto’ che conta per l’inconscio;
penso all’inciampo vocale nel transfert che e’ sorprendente e inevitabile e nell’improvvisazione, come nel transfert, si fa musica con l’incomprensibile e l’imprevisto.
L’improvvisazione rende vivace lo standard,lo movimenta,lo rilegge: il transfert e’ improvvisazione musicale.
La caratteristica improvvisativa della voce umana e’ ciò che fa della voce un luogo di transfert del dire, per questo che la voce in psicoanalisi e’ il legame con l’inconscio.
Basti pensare a Freud quando chiamava il sogno “la via regia all’inconscio” ma il sogno si racconta con le parole.

Il musicista jazz (con la voce o con lo strumento) non sa bene che note suonerà’, ne’ come ne’ quanto, e nel jazz, come in una seduta,la musica, come le parole, ad un certo punto vanno avanti da sole e si improvvisa,cioè si fa del nuovo con il già saputo: un analista non sa mai in anticipo cosa dira’ il suo paziente, anche se lo conosce bene, ma e’ sempre con lui e alla scoperta di cose nuove come se non sapesse nulla di lui.Nel jazz l’improvvisazione e’ una sensibilita’ in cui devi empatizzare con l’altro e che si fonda sulla regola. “studia più che puoi ma quando suoni dimentica tutto.” (C.Parker)

La passione la leghiamo all’approfondimento: mentre ascoltiamo musica il nostro piacere è legato all’equilibrio tra la sorpresa e la conferma della nota che sta per arrivare rispetto alla nota da noi attesa, il piacere dipende dalla conoscenza, la conoscenza discende dalla passione. La passione porta conoscenza, la conoscenza aumenta la passione. E’ un fenomeno bilaterale,un fenomeno “virtuoso”. Cosiccome la passione ti porta alla conoscenza dell’anima, all’ascolto empatico, al dialogo terapeutico,alla spinta vitale della cura.
E la passione si autoalimenta vivendola, potendosela permettere e lasciandola fluire liberamente….fluttuare.

Il jazz come la psicoanalisi va nel profondo,pervade….va avanti e poi indietro
alti e bassi…..luce e oscurità’ nei toni
…anticipa e ritarda…rassicura e sorprende…

Entrambe viaggiano col motore della passione
il jazz e’ comunicazione libidica, attraente,ti mette a nudo,ti tocca dentro come in una seduta.
Il transfert non e’ un protocollo anticipato e, come nel jazz, ciò che funziona non e’ scritto prima.

Nell’analisi, il transfert ti porta a interrompere una sorta di diacronia, che e’ nell’evoluzione lineare della storia del paziente che si sviluppa pian piano, ed il passato ed il presente si uniscono in forma verticale a livello sincronico: c’e’ una storia che si sviluppa nel rapporto terapeutico, ma ci sono alcuni momenti più drammatici o pregnanti in cui e’ come se ci fosse una condensazione di passato e presente in cui tutto e’ allo stesso momento.(Mariela Meja) Così come accade nel jazz, in cui dalla musica di fondo partono gli assolo,le improvvisazioni in cui la voce o lo strumento può elevare l’ascoltatore a momenti di grande emozione, commozione e struggimento.
Nel jazz anche se c’e’ musica di insieme, ci sono gli assolo che ci catturano come i sogni o alcuni elementi/oggetti analitici che compaiono all’interno del setting

La peculiarità’ del jazz e’ che non ti da la sensazione di armonia, del tutto, ma il particolare nel tutto; nella struttura del jazz ogni strumento lo riconosci, lo senti, lo puoi seguire all’interno dell’insieme dell’armonia, perché ci sono gli assolo. Come nel sogno ci sono molti elementi che posso essere “ascoltati”. E’ la possibilità’ dell’ascolto multiplo. Attraverso il jazz, tutte le parti del Se’ possono essere vissute. Si può scoprire che il pianoforte e’ come una parte di un sogno e lo puoi seguire, prestandovi un’attenzione specifica.
Fare esperienza del jazz e’ attivare un dialogo interno tra l’Io e le parti del Se’, da cui nascono nuove modalità’ e se il musicista non può fare questa operazione allora non c’e’ vita mentale. Il jazz e’ vita mentale. Se non ci si accoppia con le parti del Se’ non si può vivere: il jazz te lo consente con un’armonia di sottofondo: e l’accoppiamento intrapsichico permette la relazione, che è foriera di creazione, creatività. Nel  jazz c’e’ la scintilla, l’Originario della relazione. (Annapaola Giannelli)

La passione, sia nel canto jazz che nella cura psicoanalitica, e’ l’unica forza che  permette di osare, di esplorare e di spingersi oltre la pensabilita’.

Queste due passioni sono state il filo conduttore della mia vita sino ad ora, e lo sono ancora,e viaggiano fortemente sul binario dell’emozione,hanno altresì permesso la relazione con chi come me e’ appassionato o alla psicoanalisi o alla musica jazz, creando legami forti e stabili nel tempo.
Devo alla passione una lettura della vita profonda e ritmica.
Concludo dicendo che come il fluire psichico, il jazz non si ferma mai,se il jazz si ripetesse, non sarebbe jazz.

 

 

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RELAZIONI INTIME VIOLENTE DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO: COME LE VIVIAMO

La violenza e’ una realtà che attanaglia le nostre vite. Si dall’infanzia si può esserne vittime che autori. Vi sono varie forme di violenza, le più comuni e conosciute sono la violenza fisica, domestica, i maltrattamenti, la violenza sessuale e lo stalking: esistono altre forme di violenza meno conosciute più sottili, come la violenza economica e soprattutto la violenza psicologica che spesso e’ alla base di tutte le forme di violenza.

La violenza psicologica
E’ meno evidente delle altre forme, ma la più subdola e pericolosa.
Nella fase iniziale delle relazioni “sentimentali” vi e’ l’innamoramento. Poi nell’arco del tempo accade qualcosa. La persona ha la volontà di porsi in sfida con l’altro con la finalità di cancellare l’offesa di chi non ha appagato in infanzia i propri bisogni.
Nelle relazioni disfunzionali e violente esiste il concetto del “meritarsi” quel tipo di rapporto basato appunto sull’inefficienza relazionale e sulla tendenza abituale ad usare la coercizione. L’abuso della forza (rappresentata anche dalle sole parole, minacce, intimidazioni e ricatti) per obbligare il partner ad agire o cedere contro la propria volontà, può comportare il legittimare questa situazione.
Tutto ciò accresce il senso di disistima nella vittima. Fino ad indurre la persona ad allontanarsi da amici e parenti, sino al completo isolamento. Es. sono il ridicolizzare e svalutare, denigrare ed insultare, ricattare il partner. Il vissuto che caratterizza le persone in oggetto di violenza in generale e’ di grande confusione: la violenza si insinua piano piano fra le pieghe della relazione amorosa, viene giustificata da chi la compie proprio in nome di questo “amore” e tollerata da chi la subisce come se la violenza e l’amore fossero due facce della stesa medaglia. Le persone che subiscono si convincono che voler bene comporti compromessi, mentre le persone che agiscono si giustificano dicendo che le loro azioni sono solo frutto del loro “amore”  con eventuali risposte alle provocazioni del partner.
…” lo fa perché mi ama lo fa perche’ mi vuole far capire quando sbaglio…….perche’ ci tiene a me…… ( sono alcune frasi delle vittime)
“…….lo faccio per te…….per il tuo bene…….perche’ solo io ci tengo a te……se non ti amassi non starei qui a farti capire certe cose (Solo le frasi che dicono gli autori)
Questo tipo di violenza subita annulla le persone, le priva della propria identità e del senso di se’. Le fa sentire impotenti, schiacciate e senza speranza. Spesso le persone vittime si sentono le uniche in grado di far cambiare il partner “violento”, di poterlo “salvare” e questo crea la codipendenza. La dipendenza affettiva caratterizza entrambi i componenti della relazione violenta.

Il percorso di uscita da questa spirale comincia col riconoscere e legittimare i propri confini, i desideri e non i bisogni, i propri limiti e le proprie debolezze, affrontando il senso di colpa e la vergogna (Novelli, “Vergogna” ed. Universitarie Romane 2016).Uscendo dall’isolamento, riprendendo in mano la loro vita, onde evitare l’annichilimento totale ed una sorta di morte psichica.
Allora si inizia a lavorare sulla biografia e sul passato per comprendere le origini della violenza. Serve andare a comprendere quale sia stato lo stile di attaccamento che la persona ha instaurato con il proprio genitore per correlarlo con lo stile di attaccamento che instaura nelle relazioni adulte significative.
L’aiuto necessario e fondamentale che una efficace psicoterapia può apportare e’ quello di analizzare le relazioni interpersonali, prestando attenzione alla modulazione delle emozioni manifestate durante i primi colloqui. Proprio a causa delle grande confusione in cui queste persone versano, e di paura per la propria incolumità e per la perdita totale della propria esistenza, e’ necessario un atteggiamento molto empatico del terapeuta, tale da strutturare un clima relazionale facilitante la comunicazione,benevolo, per permettere alla persona di esprimersi liberamente.Il terapeuta accoglie l’ansia, le preoccupazioni, presentando l’iter che dovrà risolvere il disturbo post-traumatico da stress.
E’ molto difficile lavorare sulla riconquista della libertà, del rispetto, sulla dignità, sulla stima di se’, sul valore della persona e sulla perdita di tutte queste cose per effetto della violenza che ha subito chi si e’ trovato a vivere una relazione ed un “amore” in cui la ripetizione e l’intensità emozionali del dolore hanno preso il sopravvento. Succede addirittura spesso il paradosso che la vittima si trovi costretta ad adottare, venendo meno ai suoi ideali e alla sua morale, comportamenti anomali solo per confermare, inconsciamente, le di lui accuse o proiezioni, per il timore di essere abbandonata.
Nel percorso clinico la persona finalmente e’ in primo piano e non più nello sfondo. Ci si auspica che tutto ciò avvenga passo dopo passo, non soltanto nel setting terapeutico, ma anche nella vita.
L’obiettivo finale e’ il risanamento della persona e delle sue ferite a 360 gradi.

Psiconefrologia: uno studio sulla ricaduta dello stato depressivo sui livelli cognitivi nei pazienti emodializzati

Relationship between depression and cognitive impairment in hemodialysis patients

(Prof. Mazzaferro Sandro – Dott.ssa Novelli Maria Emanuela)
 

INTRODUCTION:
Patient with chronic kidney dIsease (in Hemodialysis) frequently show cognitive dysfunction.
The association of depression and cognitive function (time and spatial orientation, memory, attention and calculation, logical capacity and capacity of comprehension,) is not well known in maintenance dialysis patients. Depression is characterized by feeling of helplessness,hopelessness, inadequacy, sadness and a loss of interest in daily life.
Many people feel overwhelmed and depressed when they first find out about their kidney disease and the need to start dialysis. People often feel like their entire lives have been turned upside down,and this can significantly impact psychological health

AIM of our study is to evaluate
1. The impact of depression on cognitive impairment
2. The possible impact of cultural and social environment (metropolitan vs country) on these items.

INSTRUMENTS:
1. Questionnaire with hystory
2. Geriatric Depression Sale (GDS) (Yesavage     JA et al.)
3. Brief Exam Neuropsychological 2 ( Mondini et al.)

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L’INIBIZIONE AFFETTIVA: Che cosa e’ e come curarla

L’inibizione affettiva consiste nella difficolta’ ad esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni nonché ad identificarle.

La maggior parte di queste persone pur provando emozioni e sentimenti, per quanto le reprimono talvolta inconsciamente, trovano estremamente difficile poterle identificarle e di conseguenza esprimerle. Spesso non riescono a comprendere la natura di ciò che provano, se sia amore o amicizia, o nostalgia o solo un pensiero. Rimanengono inerti dinanzi a domande personali o più profonde, limitandosi con risposte standardizzate e di convenienza, come in modo automatico o compiacente, ovvero sia rispondendo come gli altri si aspettano che essi rispondano. Talvolta addirittura rimanendo in silenzio.
Apparentemente sembrano fredde, come se non provassero alcun sentimento e talvolta nei casi più gravi davvero non provano nulla (alexitimia): sono segnali simili alla depressione: come se non provassero piacere o non fossero interessati alla vita sessuale, sembrano seri o annoiati, hanno scarsa vita sociale, non sono creativi o fanno fatica a fantasticare e sono dipendenti.
Solitamente l’inibizione affettiva ha origine lontane: una famiglia a sua volta anaffettiva, o critica, svalutativa o denigrante: i modelli di comunicazione familiare e fattori socio-culturali possono determinare l’inibizione delle emozioni;nei casi più estremi sono conseguenze di traumi fisici o psicologici nella prima e seconda infanzia, ed il “silenzio emotivo” diventa una risposta dominante.
Per questo si rende necessaria una psicoterapia che possa colmare, in una relazione terapeutica empatica, questi vuoti affettivi o riempire la mancata espressività emotiva vissuta in alcuni ambienti familiari.
Un’altra componente fondamentale e’ la difficolta’, talvolta impossibilita’, di stabilire legami profondi sia dal punto di vista amicale che sentimentale, avendo cosi una vita arida che a sua volta aumenta l’inibizione stessa.
Questa problematica psicologica può essere risolta con un buon trattamento psicoterapeutico poiché le emozioni sono il SALE DELLA VITA e il silenzio emotivo rende la vita amara e vuota.

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