Passione, improvvisazione e transfert tra Psicoanalisi e Jazz
“Senza voce non c’e’ parola”
Presentero’ questo scritto, non teorico, ma che si rifa’ strettamente alla passione,alle mie due passioni che da sempre cerco di coniugare.
La grande passione sia per la psicoanalisi che per il jazz (come cantante) mi porta a presentare ai colleghi questo lavoro in cui vorrei mettere in evidenza quanti punti di contatto esistono tra queste due passioni e che legame profondo le unisce.La mia infanzia e’ stata accompagnata dall’ascolto della musica jazz grazie a mio padre che mi aiutava ad ascoltarla e anche a sapere ascoltare i singoli strumenti. A questo punto della mia vita posso dire che mi abbia insegnato l’ASCOLTO.
Penso che il desiderio umano di cantare, di darsi un ritmo o di fare musica nasca dalla precoce esperienza sonora del feto che ascolta la voce materna, il ritmo cardiaco e i gorgoglii del liquido amniotico:un rapporto basato anche sull’improvvisazione,laddove il bambino risponde alle sollecitazioni vocali materne articolando i primi suoni, improvvisando e creando le prime lallazioni. E l’improvvisazione poi attraverserà’ tutta la nostra vita: la nostra voce sarà’ sempre la stessa anche se potrà’ differire.
Nella psicoanalisi la voce nei suoi scarti vocali, inceppamenti, salite di tono, racconta di una persona spesso con più precisione delle parole; non si può fare analisi senza la voce, senza il suono.E allora la voce dell’analista può diventare il padre, la madre,l’accoglienza,il rimprovero,un caldo abbraccio,una scudisciata. E nella circolarita’ dei suoni avviene gran parte della cura psicoanalitica.
Nel canto jazz, come nell’analisi, un errore di esecuzione può aprire nuove strade, molto più di una esecuzione perfetta ma priva di passione.Si pensi alla riedizione del trauma nel transfert, di rendere visibile l’invisibile e alla possibilità’ di riparare.
E allora penso all’importanza che dava Freud agli ‘scarti’ (sogni,atti mancati,lapsus): la voce e’ lo ‘scarto’ della parola, quello ‘scarto’ che conta per l’inconscio;
penso all’inciampo vocale nel transfert che e’ sorprendente e inevitabile e nell’improvvisazione, come nel transfert, si fa musica con l’incomprensibile e l’imprevisto.
L’improvvisazione rende vivace lo standard,lo movimenta,lo rilegge: il transfert e’ improvvisazione musicale.
La caratteristica improvvisativa della voce umana e’ ciò che fa della voce un luogo di transfert del dire, per questo che la voce in psicoanalisi e’ il legame con l’inconscio.
Basti pensare a Freud quando chiamava il sogno “la via regia all’inconscio” ma il sogno si racconta con le parole.
Il musicista jazz (con la voce o con lo strumento) non sa bene che note suonerà’, ne’ come ne’ quanto, e nel jazz, come in una seduta,la musica, come le parole, ad un certo punto vanno avanti da sole e si improvvisa,cioè si fa del nuovo con il già saputo: un analista non sa mai in anticipo cosa dira’ il suo paziente, anche se lo conosce bene, ma e’ sempre con lui e alla scoperta di cose nuove come se non sapesse nulla di lui.Nel jazz l’improvvisazione e’ una sensibilita’ in cui devi empatizzare con l’altro e che si fonda sulla regola. “studia più che puoi ma quando suoni dimentica tutto.” (C.Parker)
La passione la leghiamo all’approfondimento: mentre ascoltiamo musica il nostro piacere è legato all’equilibrio tra la sorpresa e la conferma della nota che sta per arrivare rispetto alla nota da noi attesa, il piacere dipende dalla conoscenza, la conoscenza discende dalla passione. La passione porta conoscenza, la conoscenza aumenta la passione. E’ un fenomeno bilaterale,un fenomeno “virtuoso”. Cosiccome la passione ti porta alla conoscenza dell’anima, all’ascolto empatico, al dialogo terapeutico,alla spinta vitale della cura.
E la passione si autoalimenta vivendola, potendosela permettere e lasciandola fluire liberamente….fluttuare.
Il jazz come la psicoanalisi va nel profondo,pervade….va avanti e poi indietro
alti e bassi…..luce e oscurità’ nei toni
…anticipa e ritarda…rassicura e sorprende…
Entrambe viaggiano col motore della passione
il jazz e’ comunicazione libidica, attraente,ti mette a nudo,ti tocca dentro come in una seduta.
Il transfert non e’ un protocollo anticipato e, come nel jazz, ciò che funziona non e’ scritto prima.
Nell’analisi, il transfert ti porta a interrompere una sorta di diacronia, che e’ nell’evoluzione lineare della storia del paziente che si sviluppa pian piano, ed il passato ed il presente si uniscono in forma verticale a livello sincronico: c’e’ una storia che si sviluppa nel rapporto terapeutico, ma ci sono alcuni momenti più drammatici o pregnanti in cui e’ come se ci fosse una condensazione di passato e presente in cui tutto e’ allo stesso momento.(Mariela Meja) Così come accade nel jazz, in cui dalla musica di fondo partono gli assolo,le improvvisazioni in cui la voce o lo strumento può elevare l’ascoltatore a momenti di grande emozione, commozione e struggimento.
Nel jazz anche se c’e’ musica di insieme, ci sono gli assolo che ci catturano come i sogni o alcuni elementi/oggetti analitici che compaiono all’interno del setting
La peculiarità’ del jazz e’ che non ti da la sensazione di armonia, del tutto, ma il particolare nel tutto; nella struttura del jazz ogni strumento lo riconosci, lo senti, lo puoi seguire all’interno dell’insieme dell’armonia, perché ci sono gli assolo. Come nel sogno ci sono molti elementi che posso essere “ascoltati”. E’ la possibilità’ dell’ascolto multiplo. Attraverso il jazz, tutte le parti del Se’ possono essere vissute. Si può scoprire che il pianoforte e’ come una parte di un sogno e lo puoi seguire, prestandovi un’attenzione specifica.
Fare esperienza del jazz e’ attivare un dialogo interno tra l’Io e le parti del Se’, da cui nascono nuove modalità’ e se il musicista non può fare questa operazione allora non c’e’ vita mentale. Il jazz e’ vita mentale. Se non ci si accoppia con le parti del Se’ non si può vivere: il jazz te lo consente con un’armonia di sottofondo: e l’accoppiamento intrapsichico permette la relazione, che è foriera di creazione, creatività. Nel jazz c’e’ la scintilla, l’Originario della relazione. (Annapaola Giannelli)
La passione, sia nel canto jazz che nella cura psicoanalitica, e’ l’unica forza che permette di osare, di esplorare e di spingersi oltre la pensabilita’.
Queste due passioni sono state il filo conduttore della mia vita sino ad ora, e lo sono ancora,e viaggiano fortemente sul binario dell’emozione,hanno altresì permesso la relazione con chi come me e’ appassionato o alla psicoanalisi o alla musica jazz, creando legami forti e stabili nel tempo.
Devo alla passione una lettura della vita profonda e ritmica.
Concludo dicendo che come il fluire psichico, il jazz non si ferma mai,se il jazz si ripetesse, non sarebbe jazz.
Molto stimolante questo articolo: in effetti mi ha suscitato l’immagine di una “session” come una sorta di seduta collettiva durante la quale ogni musicista, alternandosi nei ruoli di accompagnatore e di solista, può assumere, nel breve volgere di qualche minuto, le vesti di “paziente” e di terapeuta