L’ASSENZA DELLA GENITORIALITA’
“Insospettate forze mortifere possono passare da una generazione all’altra e trasmettere ai bambini la convinzione che il loro destino è di accettare la loro non-esistenza, agli occhi dei genitori, come individui separati” (McDougall)
Lo Psicoanalista Fornari ipotizza a tal fine l’obiettiva ricerca di “indicatori di idoneità genitoriale”:
– sostegno alla crescita, attraverso atteggiamenti di tenerezza, comprensione e accoglienza;
- – approvazione e incoraggiamento durante i processi di crescita, di autonomizzazione e di allontanamento;
- – sostegno e approvazione nel processo di presa di distanza emotiva, normativa e relazionale;
- – capacità di non erogare ricompense che servano a rinsaldare un legame di dipendenza o mantenere intatto l’accudimento che conserva e non trasforma;
- – legittimazione dell’impresa che si va a compiere o che si è appena compiuta;
- – capacità di evitare atteggiamenti di collusione, nutrimento, rinforzi narcisistici, intimità invischiante, potere di esorcizzare il vuoto, il nulla che può esserci in noi;
- – capacità di tenere ben distinti i ruoli amichevoli, coniugali da quelli parentali;
- – capacità di richiamo costante al principio di realtà e al concetto di limite;
- – capacità di riconoscimento, di rispetto e di reciproca tutela dei rispettivi ruoli genitoriali.
- Egli aggiunge che l’adulto competente è colui che:
- – incoraggia l’autostima
- – favorisce la presa di coscienza dei bisogni e dei desideri e delle loro possibilità concrete di realizzazione;
- – aiuta a distinguere tra un sogno o una meta idealizzata e la costruzione di un progetto concreto, garantendo la possibilità di sostegno in caso di richiesta o di necessità e arginando le fughe in avanti o i ripiegamenti passivizzanti e deresponsabilizzanti.
- Il complesso funzionamento della società moderna produce inevitabili ripercussioni sulla genitorialità: alcune funzioni di sostegno allo sviluppo si sono complicate e altre necessitano una maggiore attenzione rispetto al passato. Di conseguenza, il sostegno all’attuale complessità genitoriale si fonda sulla possibilità di individuare le competenze genitoriali presenti in madre e padre, ed eventualmente anche in altre figure familiari di supporto, in modo da poter potenziare o rendere flessibili quelle che risultano maggiormente importanti in alcune particolari condizioni di vita e nelle specifiche fasi evolutive attraversate dai figli.
- Le funzioni della Genitorialità
l significato del termine “genitorialità” è, in questi ultimi anni, continuamente in evoluzione. Sempre maggiore diventa la sua complessità e sempre più ramificato il suo intrecciarsi con altri aspetti della ricerca clinica e psicologica.
La crescita umana è fatta di stadi che si ripetono continuamente nel corso della vita e che le diverse fasi evolutive dei figli riattivano bisogni ed angosce che fanno parte della propria storia evolutiva.
Una concezione più psicologica vede invece la genitorialità come parte fondante della personalità di ogni persona. E’ uno spazio interno che inizia a formarsi nell’infanzia quando a poco a poco interiorizziamo i comportamenti, i messaggi verbali e non-verbali, le aspettative, i desideri, le fantasie dei nostri genitori. Riprendendo il termine di uno dei precursori di questo concetto, Eric Berne, abbiamo un “Genitore Interno” che è formato da tutte le interazioni reali e/o fantasmatiche con le figure adulte significative che si sono occupate di noi. Da questo “Genitore Interno” dipendono in gran parte i nostri giudizi su noi stessi e i modelli relazionali che usiamo per rapportarci con gli altri. Le teorie dell’attaccamento sono su questa linea.
La genitorialità, questa “funzione autonoma e processuale dell’essere umano” rappresenta il momento evolutivo più maturo della dinamica affettiva in cui convergono tutte le esperienze, le rappresentazioni, i ricordi, le convinzioni, i modelli comportamentali e relazionali, le fantasie, le angosce, i desideri della propria storia affettiva. E come ogni compito evolutivo, come ogni stadio è una fase della propria crescita psicologica e relazionale contrassegnata da ambivalenze, difficoltà, contraddizioni, ricerche, crisi, integrazioni, frammenti..
Il termine genitorialità quindi non coinvolge l’essere genitori reali ma è uno spazio interno autonomo che fa parte dello sviluppo di ogni persona. Ovviamente, l’ evento reale della nascita di un figlio, attiva in un modo particolare e molto intenso questo spazio mentale e relazionale, rimettendo in circolo tutta una serie di pensieri e fantasie legati in particolare al proprio essere stati figli, alle modalità relazionali ritenute più idonee, ai modelli comportamentali da avere.
LA GENITORIALITA’ presuppone un insieme di funzioni dinamiche e relazionali che rappresentano gli aspetti evolutivi del percorso maturativo della persona. “Prendersi cura di” e quindi maturare il desiderio generativo è uno degli stadi della crescita umana. Esso non presuppone la nascita di un figlio reale ma è uno spazio mentale e soprattutto relazionale dentro il quale convergono la nostra storia affettiva, il nostro mondo degli affetti, i nostri legami di attaccamento, il nostro mondo fantasmatico, il nostro narcisismo, il senso che ha per noi la nostra esistenza, il nostro sentirci parte di una storia, la nostra differenziazione sessuale, la nostra capacità di vivere relazioni pluri-dinamiche ( e di non essere chiuso in una relazione duale), il nostro rapporto con le regole e il sociale, la nostra capacità di contenere e regolare gli stati emotivi, la nostra capacità di cambiare e di essere cambiato, il nostro sentirsi unico e irripetibile, autonomo ed indipendente e nello stesso tempo bisognoso di “essere pensato da qualcuno”.
Il fatto che un bambino per crescere abbia bisogno di un papà e di una mamma sembrava fino a non molto tempo fa qualcosa di scontato e condiviso da tutti: ora sembra non essere più così, o almeno non è più così per molti. L’incremento dell’instabilità coniugale, la diffusione di famiglie monogenitoriali, l’esperienza della genitorialità sempre più vissuta come una scelta e un diritto individuale, la diffusione di forme familiari alternative e il dibattito sui diritti delle coppie omosessuali mettono seriamente in discussione tale affermazione.
C’e’ un fondamento psicologico al bisogno di padre e di madre per ogni essere umano, per arrivare poi a fare qualche cenno alle conseguenze dovute all’assenza o inadeguatezza delle figure genitoriali nello sviluppo psicologico del figlio e alla necessità di eventuali figure genitoriali sostitutive.Se da decenni la letteratura psicologica ha ampiamente sottolineato l’importanza del legame di attaccamento con la madre quale fondamento del benessere psichico del figlio, gli studi più recenti hanno evidenziato anche l’importanza della funzione paterna man mano che il figlio o la figlia crescono, a motivo della necessità di regole e di orientamento verso l’autonomia che, specie dall’adolescenza in poi, divengono fondamentali. Possiamo dire, in altre parole, che la genitorialità si esplica nella cura responsabile nei confronti del figlio che coniuga sia aspetti di cura, protezione, affetto e speranza, tipici della funzione materna, sia l’aspetto della norma, del senso di giustizia e di equità riferibile alla funzione paterna.
A questo secondo aspetto è connesso il compito di orientamento dei figli, cioè l’offrire loro una sorta di “bussola” interiore, un insieme di criteri, che comunemente chiamiamo valori, cui essi possono riferirsi nelle situazioni della vita e su cui sono chiamati a operare una scelta, una volta divenuti adulti
Dunque, lungo il percorso di crescita dei figli, la compresenza di un codice affettivo materno e di un codice etico paterno è fondamentale per garantire un’equilibrata evoluzione dell’identità personale: pertanto, madre e padre giocano ruoli e funzioni diverse e complementari nella crescita dei figli, pur modificandosi nel tempo a seconda dell’età dei figli. La cura responsabile è in tutti i casi compito congiunto della coppia genitoriale: nella società contemporanea la divisione dei ruoli genitoriali è molto meno rigida rispetto al passato e la funzione paterna e materna risultano svolte oggi, con modulazioni diverse, da entrambi i membri della coppia genitoriale.
Le funzioni materna e paterna sono infatti per alcuni aspetti interscambiabili: sempre più frequentemente si incontrano madri che esercitano anche alcuni aspetti della funzione paterna e viceversa padri che svolgono parte della funzione materna (es.: aspetti legati all’accudimento), soprattutto oggi dove la presa di distanza dai modelli normativi del passato conduce i padri ad allinearsi maggiormente alle modalità di relazione tipicamente femminili-materne.
Di fatto, nell’attuale contesto socioculturale, vengono maggiormente enfatizzati gli aspetti affettivi e di accudimento, mentre la funzione etico-normativa è lasciata più sullo sfondo. È tuttavia essenziale, oggi come ieri, che nella coppia siano presenti entrambe le risorse della cura (l’affetto e la norma) poiché l’impoverimento dell’uno o dell’altra portano inevitabilmente a situazioni problematiche, e in certi casi gravemente disfunzionali, per il figlio. Dunque le funzioni materna e paterna si radicano certamente alla persona del padre e della madre, ma al tempo stesso le trascendono.
Solo l’amore può bastare?Facendo leva proprio su questo aspetto, molti traggono la conclusione che ciò che è davvero importante sia la qualità delle relazioni familiari, indipendentemente dal fatto che vi siano un padre e una madre: crescere in un ambiente sereno, privo di conflittualità e improntato al dialogo e al rispetto sembra, agli occhi di molti, essere più decisivo rispetto alla presenza concreta di un padre e di una madre. D’altra parte, la realtà ci insegna che è effettivamente possibile crescere anche senza un genitore: l’esperienza di numerose famiglie in cui anche non per scelta, ma per un’avversità del destino, una figura genitoriale è venuta a mancare, può testimoniare che, pur nella fatica della perdita e dell’assenza – che va comunque affrontata ed elaborata — i figli possono crescere sani e sereni anche con la sola madre o il solo padre.
In realtà, e soprattutto se ci mettiamo dal punto di vista del figlio, dobbiamo riconoscere la “necessità” per ogni essere umano di un paterno e di un materno o meglio proprio di “quel padre” e di “quella madre”. Se c’è infatti un dato indiscutibile su cui non si può obiettare, è che per nascere, “quel figlio” ha bisogno di “quel padre” e di “quella madre”.
Pertanto il figlio, nel tempo per strutturare la propria identità personale, ha bisogno di riconoscersi nel suo punto di origine che è sempre frutto di uno scambio tra quel materno e quel paterno che lo hanno generato. Non c’è identità senza un’origine. In altre parole non riusciamo a rispondere esaurientemente alla domanda “chi sono io?” senza far riferimento alla nostra origine, ossia al padre e alla madre che ci hanno generato.
Dunque, poter fare riferimento sul piano della realtà a due genitori, ovvero a quel padre e a quella madre nella loro essenziale unicità e, attraverso di loro, alle due stirpi familiari è una condizione necessaria per dare un fondamento reale e non immaginario alla propria identità. Ne è prova l’angoscia di chi, per i motivi più diversi, non ha accesso alle proprie origini, non sa o non di rado è impedito od ostacolato nella conoscenza, come sono per esempio i casi di adozione.
Fin qui abbiamo evidenziato sinteticamente come il bisogno di padre e di madre, anzi di “quel padre” e di “quella madre” sia inscritto in ciascun figlio, non solo nel suo Dna ma anche nel bisogno di relazione che è tipico di ogni essere umano e fondamento della sua struttura psichica. Il piccolo dell’uomo si apre alla vita solo ed esclusivamente in un contesto di relazioni che gli assicurano protezione e cura, e nel tempo attraverso il rispecchiamento gli permette di capire chi è e di strutturare la sua identità.
Il genitore “capace”
Non esiste un modo considerabile a-prioristicamente giusto per essere genitori capaci.
Ogni genitore stabilisce con il figlio un tipo di relazione specifica, in base non solo al proprio senso di sé ed al proprio significato personale (Guidano, 1992) ma anche alla modulazione del legame di attaccamento che con il figlio si struttura sin dai primi momenti della sua vita.
Come nei primi anni la spiccata propensione a strutturare un’intensa reciprocità emotiva con i genitori appare come il vincolo ontologico alla base di ogni possibile ordinamento dell’esperienza, per il bambino il legame genitoriale mantiene le stesse caratteristiche fondamentali di decodifica della realtà nel processo di costruzione del senso di sé, della sua personalità, lungo tutto il suo percorso evolutivo fino all’età adulta.
Nel parlare di capacità genitoriali si tiene in considerazione sia la disponibilità a garantire nel tempo una prossimità fisica con il proprio figlio sostenendolo nei suoi bisogni materiali, sia la capacità di strutturare e mantenere un legame affettivamente significativo, emotivamente caldo, che funga in qualsiasi momento evolutivo del bambino da base sicura.
L’idoneità genitoriale viene definita quindi dai bisogni stessi e dalle necessità dei figli in base ai quali il genitore attiverà le proprie qualità personali, tali da garantirne lo sviluppo psichico, affettivo, sociale e fisico.
Il parenting si propone come una competenza articolata che comprende l’accoglimento e la comprensione delle esigenze primarie (fisiche e alimentari), che invece riguarda le modalità con cui i genitori preparano, organizzano e strutturano il mondo fisico del bambino, che include tutti i comportamenti che i genitori attuano per coinvolgere emotivamente i bambini in scambi interpersonali. Inoltre che posseggano la capacità di rispondere alle richieste, la capacità di mantenere un’attenzione focalizzata, la ricchezza del linguaggio e il calore affettivo.
Non è superfluo sottolineare l’importanza delle cure genitoriali che i bambini ricevono nell’infanzia come base del loro benessere emotivo e affettivo attuale e di gran parte di quello futuro.
Gli ambienti caratterizzati da conflitti perduranti e accesi che coinvolgono direttamente il figlio o lo espongono alle minacce e alle violenze verbali e/o fisiche tra i genitori, infatti, sottopongono a così grave minaccia il benessere emotivo del bambino/a da richiederne, a volte, il suo immediato allontanamento, o l’allontanamento del genitore disfunzionale, violento.
Inoltre è necessario comprendere quanto e come la famiglia sa rispondere alle condizioni di stress relazionale e quali sono i significati che il figlio assume agli occhi dei genitori.
Non è raro, infatti che in situazioni dove è gravemente compromesso il benessere del bambino emerge come egli rappresentasse per il genitore maltrattante l’oggetto di un conflitto irrisolto o l’espressione di un fallimento personale o quant’altro era vissuto dal genitore stesso come invalidante per l’immagine di sé e delle proprie capacità.
In termini operativi si può affermare che la validità genitoriale dipende tanto dalla capacità di promuovere nel figlio nell’arco dell’infanzia quelle competenze necessarie al bambino/a per sviluppare una rappresentazione del genitore come capace di offrire sicurezza e protezione e una corrispondente immagine di sé come efficace e degno di amore, quanto dalla capacità di evitare che i figli stabiliscano nel tempo modalità di adattamento magari efficaci nel presente, ma che a lungo tempo estremamente dannose (si pensi al bambino/a che si adatta positivamente alle molestie sessuali ricevute dal genitore, ad esempio per paura di maltrattamenti fisici o di procurargli dispiacere rifiutandosi), perché tali modalità verranno ripetute in altri contesti diventando una risposta coerente ma altamente disadattiva alla relazione con adulti e coetanei.
Altrettanto importante, nella gestione delle situazioni quotidiane di cura e come base per il processo di modellamento attuato dagli “adulti che si prendono cura”, è l’assertività, che consiste nella capacità di esprimere in modo adeguato pensieri ed emozioni, sia positivi che negativi, facendo e ricevendo critiche o complimenti. Questa capacità di non essere né passivi, né aggressivi è un’abilità genitoriale che permette di insegnare e trasmettere modelli di comunicazione in grado di favorire la possibilità di stabilire legami affettivi sicuri, divenendo equilibrati e indipendenti.
L’assertività è sostenuta, a sua volta, da livelli sufficientemente buoni d’indipendenza che si manifesta con una capacità dei genitori di compiere le attività abituali, sia di accudimento che personali, senza dover ricorrere costantemente ad aiuto o protezione di altri (es. proprie figure genitoriali). Questa caratteristica, infatti, consente di svincolarsi dal bisogno di ottenere l’approvazione altrui e sostiene la capacità di prendersi delle responsabilità delle proprie azioni, favorendo la trasmissione di forme di attaccamento sicuro nelle figure accudite.
Un’altra dote importante nelle figure di cura è l’autostima, che consiste nella valutazione che un genitore fa su se stesso sulla base di idee e opinioni personali. Un buon livello di soddisfazione di sé, infatti, rende più socievoli, equilibrati, tolleranti a frustrazioni e conseguentemente capaci di risolvere i problemi posti dalla genitorialità. Una figura affettiva di riferimento dotata di buona stima di sé tende ad essere stimolante da un punto di vista interpersonale e a non attribuire ai figli, come ad altre persone, le proiezioni delle proprie convinzioni negative su se stessa.
Particolarmente utile, nei genitori e nelle figure che si prendono cura di bambini e ragazzi, può essere anche l’apertura mentale, ossia l’atteggiamento di curiosità con cui ci si avvicina ad esperienze nuove, tollerando idee e culture diverse, aspetti che sostengono la capacità dei genitori di insegnare ai propri figli a vivere sia esperienze positive che negative e di sopportare anche ciò che è meno familiare.
Strettamente connessa a questa caratteristica è l’empatia che permette di riconoscere, davanti ai figli, i sentimenti e le prospettive altrui, in modo da stimolare la capacità di mettersi nei panni degli altri, necessaria per vivere legami affettivi dotati di stabilità.
Nel contesto degli elementi che compongono le competenze genitoriali un posto importante può essere attribuito alla capacità di socializzazione che vede alcuni genitori più propensi a stabilire relazioni e ad amare la compagnia, impegnandosi in attività sociali che rappresentano, direttamente o indirettamente, uno stimolo per la salute psico-sociale dei figli, raffigurando un esempio e un’occasione per coltivare il piacere di stare con altri sviluppando competenze sociali.
In modo simile appare importante la presenza, in un genitore, della capacità di stabilire legami affettivi o di amore che consente di sostenere un sano sviluppo evolutivo sviluppando nei figli le relazioni interpersonali e ostacolando la crescita di problemi relazionali e di patologie connotate o alimentate dall’isolamento.
La presenza di una buona stabilità emotiva consente di contenere, nelle figure genitoriali, gli stati di tensione associati alle esperienze emotive forti, come quelle di conflitto o in grado di produrre disagio. Attraverso tale modello di calma e pazienza, le figure di accudimento possono creare un clima evolutivo poco teso e, al contempo, trasmettere esempi di atteggiamenti che sostengono la possibilità di affrontare difficoltà e di superare il dolore.
Anche la flessibilità aiuta i genitori ad adattarsi e a mostrare possibilità di accomodamento a situazioni inaspettate o nuove. Le figure educative che possiedono buoni livelli di tale pregio, infatti, si muovono consapevoli che non esiste un solo modo per fare le cose e manifestano, insegnandola ai giovani osservatori, la capacità di negoziare soluzioni ai problemi, assumendo più punti di vista e cambiando, quando necessario, le proprie opinioni.
Mediante la riflessività è possibile insegnare, alle persone di cui un genitore si prende cura, la pianificazione delle azioni in modo previdente e tale da poter perseverare verso i propri obiettivi, considerando a priori buona parte dei vantaggi e degli svantaggi di una scelta. Tale atteggiamento perciò è molto importante per i genitori di giovani adolescenti, ma lo è anche per sostenere nei bambini il passaggio dall’impulsività di un’azione al pensiero che la può precedere.
L’assenza nella relazione genitori-figli:quando lo sguardo non vede
– La riflessione che intendo qui proporre si focalizza sul tema dell’assenza, declinata nella relazione genitori-figli ed intesa non come mancanza in senso “fisico” di un genitore (dovuta ad esempio a morte o abbandono), ma soprattutto come assenza psicologica, come carenza nelle capacità genitoriali, come difficoltà da parte dell’adulto di garantire al figlio una presenza attenta ed uno sguardo che permetta a quest’ultimo di sentirsi riconosciuto ed accettato. Ma “come si può soffrire per l’assenza di chi è presente?” (Kundera, 1997, p.48).
Spesso si poteva osservare una difficoltà nel rendersi pienamente disponibili e nel mettersi in gioco, come se si configurasse una presenza (fisica)- assenza (mentale) o una presenza “intermittente”, poco costante non solo dal punto di vista temporale, ma anche da quello affettivo, che non permetteva di rispondere in modo adeguato ai bisogni psicologici, affettivi ed emotivi del minore. Spesso si riscontra anche, in diversi casi, la difficoltà da parte degli adulti di vedere ed accettare i figli con i loro pregi e difetti e la tendenza ad avere in mente un ideale di come questi dovrebbero essere (l’avvicinamento più o meno forte a questo ideale da parte di questi ultimi indirizzava spesso le reazioni di apertura o allontanamento da parte del padre o della madre, e arrivava anche ad un ritiro della propria presenza affettiva); parallelamente, nei minori e’ presente la sensazione di non essere “visti”, come se ci fosse da parte loro la consapevolezza che l’attenzione fosse focalizzata principalmente sulla contesa e sul conflitto.
Sembra che lo sguardo del genitore rimanga fisso su di sé, sulla propria immagine, sui propri bisogni, senza lasciare spazio a nient’altro al di fuori di questo. E’ importante ricordare, a questo proposito, che i genitori sono i più esposti al lavoro del lutto, dal momento che c’è un inevitabile scarto tra il figlio immaginario, ideale, e quello reale; deve essere quindi mantenuto un equilibrio adeguato tra la gratificazione, l’investimento, le aspettative che si nutrono e i sentimenti di delusione e frustrazione che necessariamente si sperimentano per arrivare all’accettazione del figlio, come individuo altro da sé. La rinuncia al bambino fantasticato, come colui che deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori (Freud, 1914) appare quindi una tappa fondamentale, che permette di mantenere un giusto bilanciamento tra investimento narcisistico (amore di sé nell’altro) ed investimento oggettuale.
Quanto, in casi come questo, viene deformata l’immagine che viene restituita ai figli dai genitori? Non solo la madre, ma l’intera famiglia deve infatti svolgere una funzione di “specchio”, che dia senso agli affetti e ai vissuti dei figli, che rimandi il senso di essere sé stessi e del proprio schema corporeo, che permetta la costituzione di una propria “pelle psichica”. Uno specchio che rimandi l’immagine dell’altro, in questo caso del figlio, arricchita dal proprio sguardo. Quando invece lo specchio rimanda un’immagine distorta allora viene trasmesso ciò che i genitori non hanno potuto elaborare, caratterizzato dall’assenza di parole. “La trasmissione transgenerazionale, in alcuni casi, si costituisce a partire da ciò che è fallito e da ciò che è mancante nello psichismo dei genitori” che va così a costituire dei “fantasmi” che favoriscono, nel bambino, meccanismi di scissione e che ostacolano in primo luogo la possibilità di pensare, favorendo la mistificazione e la confusione.
Viene insomma impedita al minore la possibilità di essere autenticamente in relazione, un riconoscimento del suo essere separato e della sua indipendenza “come un’entità a pieno diritto” (Winnicott, 1971).
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