Chiamiamo amore un generico sentimento di attrazione non solo fisico ma anche emotivo che ci spinge a legarci ad una certa persona, magari ad intravedere con questa una certa affinità intellettuale o emotiva o, nei casi più estremi, a sentirla come qualcuno con cui ci si capisce “al volo” quasi senza parlare.
In un modo o nell’altro, dunque, nella persona di cui ci innamoriamo sentiamo di “riconoscere”qualcosa; da qualche parte avvertiamo, implicitamente e intuitivamente, che c’è un’alchimia che ci suona nuova e familiare al tempo stesso.
Quello che riconosciamo come amore tuttavia non è sempre fonte di gioia e gratificazione; a volte può essere un sentimento che ci lega in una relazione disfunzionale in cui continuiamo a soffrire e ad essere insoddisfatti.
Nelle relazioni amorose tendiamo a ritrovare e a riproporre schemi del passato, che hanno connotato i rapporti con alcune figure significative per la definizione del nostro senso di sicurezza e di identità; siamo talmente abituati, per implicito, a definirci all’interno di queste dinamiche per noi “familiari” da tendere spontaneamente e quasi senza accorgercene a ricercarle e a ricrearle anche con i partner che ci scegliamo nella vita adulta.
Ecco perché, ad esempio, l’amore può essere vissuto come un’attrazione emotivamente ambivalente in cui si mescolano il vecchio e il nuovo: una persona appena incontrata che ancora non conosciamo e che tuttavia ci attrae e ci fa sentire bene in un modo che ci suona “confortevole” perché ha qualche cosa di familiare.
In un amore sano questi aspetti possono integrarsi proficuamente e, se i due partner hanno le risorse emotive per accettare anche le reciproche differenze, è possibile che l’incontro d’amore ci porti a ritrovare qualche cosa degli affetti del passato ma nel contesto di una nuova e più soddisfacente modalità di relazione e di scambio affettivo.
La vera relazione d’amore e’ funzionale perché è in grado di aiutare i due partner a crescere e ad evolvere con maggior soddisfazione per sé stessi e per la coppia che hanno formato.
Una relazione d’amore può essere disfunzionale quando invece tiene i due partner uniti in un legame entro il quale si ripetono alcuni aspetti insoddisfacenti delle relazioni affettive del passato, relazioni che non ricreiamo volontariamente, ma che riproponiamo quasi in automatico perché, nonostante ci causino molta sofferenza, sono in qualche modo “familiari” ed emotivamente adeguate ad assegnarci un ruolo in cui implicitamente ci riconosciamo.
Ecco che allora, anche cambiando partner numerose volte, potremmo sorprenderci a ritrovarci in situazioni sentimentali insoddisfacenti e, da questo punto di vista, dolorosamente somiglianti.
Si parla tanto, in questi anni, di violenza domestica e di unioni di coppia fondate sulla violenza dove i reciproci ruoli – l’abusatore e la vittima – confermano dolorosamente i partner nella credenza di non potersi definire psicologicamente se non in rapporto ad un altro da possedere e/o da cui dipendere.
L’amore può rivelarsi disfunzionale anche in forme meno estreme di questa, ogni qual volta riconosciamo, dietro ai fallimenti e alle delusioni di cui può essere costellata la nostra vita affettiva, le stesse insoddisfazioni, gli stessi problemi che hanno tormentato un rapporto che avrebbe altrimenti dovuto fornirci serenità, gioia e gratificazione.
È forse arrivato il momento di interrompere un ciclo che tende a ripetersi troppo uguale a sé stesso… A volte questo accade grazie ad incontri imprevisti e particolarmente fortunati che deviano la nostra vita affettiva verso svolte impensate. In altri casi è necessario contattare ripetutamente quella stessa sofferenza per prendere consapevolezza del prezzo che paghiamo e intraprendere un cambiamento talvolta attraverso un percorso di consulenza psicologica o di psicoterapia.
Il riconoscimento è il primo passo, che sembra scontato ma non lo è. In questo senso la violenza fisica, di cui rimangono i segni sul corpo, non lascia alcun dubbio sulla violenza subita, ma se il partner mette in atto tutta una serie di manipolazioni, insinuazioni, denigrazioni sottili, tutto questo assume una veste di ambiguità che è anche difficile da capire, interpretare. E spesso le donne interpretano, decodificano in modo erroneo alcuni segnali.
“Mi chiama in tutti i momenti della giornata, vuole sapere con chi sono, cosa sto facendo…quanto ci tiene a me!”.
Arrivare a capire che più che attenzione verso l’altro è un bisogno di controllo non è proprio immediato.
“Non vuole che esca con la mia amica, che vada in palestra, è molto geloso…quanto mi vuole bene!”.
Questo non è proprio amore, ma piuttosto possesso dell’altro.
In questo caso il partner e’ una persona che ha dei problemi nell’area delle relazioni, cioè una persona che funziona normalmente da un punto di vista cognitivo, lavorativo ma ha delle grandi problematiche nelle relazioni e nell’affettività e che in termini tecnici rientrano nei Disturbi di personalità, soprattutto nell’area del Narcisismo.
Nella fase iniziale solitamente è un grande seduttore; queste storie spesso nascono all’insegna dei grandi corteggiamenti, grandi adulazioni, attivando un grande coinvolgimento del partner che si sente da subito molto coinvolto e ha la sensazione di vivere il rapporto più importante della vita. Il narcisista riesce così a instillare l’idea che lui solo sa che cosa l’altro veramente vuole, di che cosa ha veramente bisogno. Lei lo lascia fare, magari si sente lusingata: nessuno l’ha mai capita così. Il narcisista costruisce la sua tela, lentamente, non svelandosi immediatamente per quello che è, ma cercando di portare la sua preda ad uno stato totale di sudditanza psicologica. È ben accorto dallo svelarsi immediatamente, lo fa quando si rende conto che l’altro ormai è totalmente dentro la relazione. Avendo la dinamica perversa lentamente e impercettibilmente eroso e disorientato il senso critico della «vittima», quando il vero e proprio maltrattamento comincia a manifestarsi proprio la «vittima» non è in grado di riconoscerlo. La perdita della capacità di fare un sicuro esame della realtà è, infatti, una delle conseguenze della relazione con un narcisista perverso: una delle più dolorose.
Narciso è un uomo che vuole specchiarsi nello stagno e guardare la propria immagine riflessa, cioè l’altro deve rimandare la sua immagine. L’altro non esiste come entità a sé stante, ma serve soltanto a rimandare la sua immagine. Per il narcisista gli altri sono vissuti come persone che non hanno un’esistenza o dei bisogni propri e la difficoltà a stare in relazione si manifesta nell’incapacità di provare sia gratitudine che rimorso,o di colpa, che è sempre dell’altro, nell’incapacità di ringraziare e di chiedere scusa.
È importante chiarire che non tutti i narcisisti agiscono la violenza psicologica. L’elemento che determina la violenza oltre al narcisismo è l’aspetto della perversione. Il perverso, nell’usare l’altro, implicitamente lo disprezza, lo sminuisce in quanto ha bisogno di trasformare la relazione in rapporto di forza e di potere.
Lo scopo del narcisista perverso è quello di controllare l’altro, ma non soltanto di fargli mettere in atto un certo tipo di comportamenti, ma ancor più di controllarlo dall’interno, di cambiare il suo pensiero, il suo modo di essere. L’obiettivo è quello di esercitare quindi un potere, la relazione con un partner narciso è una relazione di potere, dove non c’è reciprocità, perché l’altro non è visto nella sua identità, riconosciuto per quello che è, ma soltanto per quello che gli serve cioè dare conferma della sua identità. Quello che accomuna tutti i narcisi descritti è la totale mancanza di empatia di sentire le emozioni che l’altro prova, di sentire e riconoscere i suoi bisogni più profondi. Il narcisista tratta l’altro come un oggetto, come una cosa da possedere. Può mettere in atto meccanismi di controllo, cercherà di limitare il tempo che la partner trascorre in modo autonomo, l’altro alla fine deve fare e essere come lui vuole.
Le denigrazioni, le critiche molto spesso sono alle sue idee, alle sue scelte, mettendo in dubbio le sue capacità critiche. Tutto questo ovviamente anche in modo ambiguo, dicendo una cosa e poi negando di averla detta, alludendo ma non dicendo chiaramente, per cui è più difficile difendersi da qualcosa che non risulta esplicito, chiaro ma contraddittorio. E allora quando cominciano le critiche da parte di lui, sempre vaghe, non contingenti, la donna cerca di reagire, ma si sente allora accusare di essere troppo sensibile, di non essere sicura di sé. Non può parlarne, non sa come affrontare il problema: lui banalizza, infatti, ogni tentativo che lei fa di parlare di ciò che avviene nella relazione, squalificandola. Così lei tace, e in questo modo finisce per isolare sé stessa e proteggere lui. Poi gli attacchi si moltiplicano, si passa alla derisione, agli insulti, alle minacce, financo alle accuse di essere una persona che “mente”. La donna comincia a pensare, anche perché è questo che lui le suggerisce, di essere lei quella sbagliata, quella che non capisce, e cerca di adeguarsi alla situazione, di farvi fronte in qualche modo e paradossalmente e’ costretta a mentire rimanendo nel suo gioco perverso.
E siccome alla base c’è appunto un sentimento di poco valore, nel momento in cui l’altro va a confermare questo sentimento interno di non valore, la donna se lo prende e si colpevolizza, si attribuisce la responsabilità di ciò che non va all’interno della relazione. Come dire, se il mio partner è così aggressivo nei miei confronti è perché io ho fatto qualcosa di sbagliato. Entrambi i partner hanno lo stesso problema alla base, sentire di valere poco, ma il Narcisista lo nega, non lo riconosce, ha però bisogno dell’altro per mantenere alto il senso di sé, per non sentire il suo vuoto interiore.
La dinamica allora si incastra perfettamente, perché se da un lato c’è qualcuno che si colpevolizza, dall’altro invece c’è un altro che non si attribuisce mai la colpa ma che al contrario la riversa all’esterno da sé, sul partner, sui familiari, sul mondo intero. A un certo punto accade qualcosa che lei non avrebbe mai pensato di poter sopportare: lui, ad esempio, la offende davanti agli altri, oppure la minaccia, oppure spacca davanti a lei oggetti a cui lei tiene…e lei si rende conto, diversamente da come aveva pensato prima, di potere sopportare. Il limite è ormai spostato, e lei potrà sopportare ancora e ancora. Gli uomini provano, dopo questi episodi, calma, calo di tensione, uno strano stato di tranquillità.
Il passo successivo è l’isolamento: la donna nasconde ciò che realmente accade fra loro, fino ad un certo punto anche a se stessa, finendo con il proteggere il partner che la maltratta. Soprattutto l’isolamento è fondamentale perché lo scopo è quello di far si che la donna perda tutta la rete di relazioni affettive (familiari, amicali, terapeutiche) con l’obiettivo di poter continuare a perpetuare la sua azione di distruzione e di esercizio del potere in modo indisturbato. Come fa? Insinuando e mettendo zizzanie, alimentando i conflitti, screditando la partner o gli altri, a seconda di ciò che è più facile.
Il rendersi conto del maltrattamento, oltre che molto difficile sul piano cognitivo, è altrettanto difficile e doloroso su quello emotivo perché significherebbe ammettere che il rapporto di coppia, quel rapporto che sembrava così importante, è fallito, che lui non è quello che lei aveva pensato che fosse e la donna in fondo lo sa. Anche perché il perverso relazionale non manca completamente di empatia, ma l’empatia, quando è presente, è totalmente asservita alla strategia controllante-premurosa/punitiva.
La donna adesso ha paura. Teme il rimprovero, la battuta sarcastica, la minaccia espressa a bassa voce e in tono cupo, oppure gridata durante un’esplosione di collera. Fa di tutto per rabbonire il compagno, ogni suo sforzo va in questa direzione. Farebbe qualunque cosa pur di strappargli un sorriso, un cenno di assenso, un’approvazione. Mette in atto delle strategie “preventive” per evitare le sue reazioni.
Tutti questi comportamenti, ripetuti quotidianamente nel tempo, producono nel partner una vera e propria sindrome, con disturbi psicosomatici, ansia,attacchi di panico, stati depressivi, perdita dell’autostima di non valere niente, uso degli psicofarmaci e quindi vanno chiaramente ad incidere anche nelle attività lavorative. Queste modalità di violenza psicologica tendono ad uccidere la psiche anche per la loro azione ripetuta nel tempo perché quello che poi spesso caratterizza queste relazioni è anche la difficoltà ad uscirne, quindi si mettono in atto dei tentativi di chiudere il rapporto, poi magari si torna insieme, con un effetto yo-yo, perché subentra un aspetto fondamentale che è quello della dipendenza che poi è una dipendenza reciproca, agita in modo diverso dai due partner nella dinamica relazionale. In tutti i rapporti affettivi c’è una quota di dipendenza che a che fare con il legame, con l’importanza che l’altro riveste nella nostra vita. In questi casi però la relazione porta all’annullamento di sé e al vivere in funzione dell’altro. Si parla oggi di nuove dipendenze, cioè di dipendenze in cui si ha un rapporto con l’altro come il “tossicodipendente” ha un rapporto con la sostanza. E questi sono dei rapporti in cui ognuno dei due è funzionale all’altro, cioè la dipendenza è reciproca.
Mentre le relazioni intime di tipo funzionale sono caratterizzate dalla sicurezza, dal prendersi cura dell’altro e anche di se stessi, dalla collaborazione e cooperazione nel raggiungimento di scopi comuni e da valori condivisi (es. sostenere l’altro nelle sue scelte, essere onesti e fidarsi dell’altro, ecc.), le relazioni disfunzionali, invece, si nutrono di sfiducia, insicurezza, egoismo e scarso decentramento, disonestà e sfiducia nell’altro, gelosia, sino ad arrivare a vere proprie richieste eccessive, abuso di potere e controllo da parte di uno dei due partner. Questo tipo di relazioni non alleggerisce il carico emotivo che quotidianamente tutte le persone sono costrette a gestire ma appesantisce, deprime, rende infelici e infine porta a lungo andare ad un vero e proprio esaurimento emotivo.
Le persone che si trovano a dover gestire una relazione disfunzionale, di solito, sono poco consapevoli dei cicli interpersonali e dei circoli viziosi che autoalimentano ma anche del perché siano costantemente alle prese con partner e legami poco disfunzionali. La conoscenza e la consapevolezza di sé stessi è sempre il primo passo verso il cambiamento. Riconoscere che siamo “invischiati” in una relazione che porta dolore e sofferenza alla propria vita richiede un grande sforzo (molte sono infatti le persone che continuano a negare la disfunzionalità della propria relazione anche quando familiari o amici li mettono davanti alla realtà dei fatti). Inoltre, i meccanismi di cui si è parlato finora non sono esaustivi dell’enorme mole di studi sull’argomento. Tanti sono i fattori che intervengono quando si parla di relazioni disfunzionali e dell’incapacità di porre fine a tali relazioni: scarsa autostima, senso di indegnità e vulnerabilità, cicli interpersonali, incapacità nell’operare scelte adattive e funzionali sia dal punto di vista relazionale che dal punto di vista personale, scarse abilità nel riflettere sui propri e altrui stati mentali per riuscire a padroneggiare la propria sofferenza in modo adattivo, ecc.
Il supporto di un professionista (psicologo, psicoterapeuta) potrebbe aiutare le persone a prendere consapevolezza dei meccanismi precedentemente elencati e attraverso la relazione terapeutica dimostrare loro che non è vero che “non possono sperare di meglio”, non è vero che “meritano quel tipo di relazione” che hanno imparato ad accettare l’amore che pensano di meritare.
In sintesi, l’asimmetria in una relazione affettiva dipende dalla differente importanza tra i due della coppia, attribuita agli scopi raggiunti attraverso l’altra persona. Inoltre, il dipendente ritiene o ha realmente meno alternative alla sua relazione rispetto al partner, e poco potere sull’altro nell’indurlo a soddisfare i propri scopi. Da tale punto consegue, che quanto più è presente dell’insicurezza che il partner soddisfi i propri obiettivi (mancanza di potere – affettivo, denaro, carisma, ecc.) tanto più si è dipendente da questi.
Inoltre va fatto presente che fino a quando si riterrà che il partner prima o poi soddisferà le nostre aspettative si è portati a mantenere il ruolo di sottomissione e di particolare disponibilità verso i sui bisogni, con l’obiettivo illusorio di vincere le sue resistenze e sperare nell’eventuale soddisfacimento dei propri.
Vediamo che l’asimmetria relativa alla dipendenza non è altro che un’asimmetria di potere all’interno della coppia, dove chi detiene il potere maggiore può facilmente cadere nell’approfittamento o addirittura nello “sfruttamento” del proprio partner, anche se quasi sempre inconsapevolmente.
Nella relazione affettiva gli scopi che si raggiungono attraverso l’altro, hanno una valenza particolarmente forte, poiché riguardano il raggiungimento dell’appagamento del bisogno d’attaccamento e d’amore in primo luogo, mentre in secondo luogo riguardano la progettualità, la famiglia, i figli, il fare delle cose assieme, ecc., ecc..
E’ utile precisare che, mediante le relazioni in generale e in quella amorosa in particolare, noi raggiungiamo se stessi, di fatto l’altro è il “mezzo” attraverso il rimando del quale noi ci percepiamo, sentiamo il senso della vita. La reciprocità rappresenta una sorta di dinamismo dove ognuno, in un certo qual senso, s’alambicca per avere il maggior ritorno d’apprezzabilità, di considerazione, insomma di conferma d’amabilità personale.
Nella relazione affettiva l’asimmetria è una condizione frequentemente presente, ed è proprio questa che crea il malessere di coppia e quindi la sua disfunzionalità.
Talvolta, inoltre, a contribuire alla maggiore dipendenza dei due componenti della coppia si presentano le condizioni più disparate. La maggiore dipendenza è funzione delle alternative disponibili, vale a dire la possibilità di avere le stesse gratificazioni al di della relazione in questione, cioè sia se esiste la possibilità di poter fare riferimento ad altre persone differenti dal partner, sia alla possibilità di sentirsi facilmente in grado in futuro di poter soddisfare gli scopi dipendenti dall’altro, anche se nel presente ci si trova in una reale condizione di dipendenza.
Per capire se una relazione ha i presupposti per definirsi è sana, devono essere presenti i seguenti parametri:
– L’apertura verso l’altro deve avvenire in modo lento e graduale, rivelando di se aspetti maggiormente positivi che negativi e esprimendo pian piano e con sincerità le emozioni e l’affetto.
– La vicinanza all’altro si crea in modo progressivo, incrementando gradualmente il tempo da trascorrere insieme, così da poter costruire una maggiore familiarità.
– Le dimostrazioni di amore, empatia e affetto, vanno esternate in modo coerente rispetto allo stadio della relazione in corso.
– L’impegno da dedicare al rapporto e la fiducia da accordare all’altro, si decidono insieme e gradualmente e attraverso una costante negoziazione.
– La presenza di interessi sia comuni che individuali, è molto importante perché permette alla coppia sia la condivisione di esperienze comuni, che lo scambio delle proprie esperienze individuali, considerate elemento di novità e ricchezza per la coppia.
– La compatibilità nella coppia si raggiunge attraverso una graduare inter-penetrazione delle attività, la negoziazione e il rispetto dei valori, anche se non sempre condivisi.
– Il contatto fisico deve avvenire in modo naturale e positivo, sviluppando progressivamente una intimità e sessualità che portano al benessere, e favorendo rituali di interazione e sincronicità nei comportamenti.
– La salvaguardia di una autonomia individuale, anche quando si sta in coppia, è molto importante perché permette che ogni persona possa portare fuori il meglio dell’altra e che possa aiutarla a raggiungere degli obiettivi individuali non relativi al rapporto.
– L’esperienza del conflitto è necessaria e deve poter avvenire con toni moderati e con una bassa frequenza, la sua funzione è quella di far evolvere la relazione verso una crescita, laddove questa può essersi bloccata.
– La comunicazione deve poter essere chiara e aperta, così che ognuno si senta capito e libero di esprimersi senza remore.
Quando ci si discosta sia per eccesso che per difetto da questi parametri, si possono creare delle relazioni disfunzionali, dove il malcontento di almeno uno dei due, se non di entrambi è frequente. In questi casi, prima di arrivare a situazioni estreme di conflitto e malessere, si può chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta che può aiutare la coppia a trovare nuove modalità più funzionali che la aiutino a capire se e come poter continuare a stare insieme.
Infine mentre nelle relazioni intime di tipo funzionale sono caratterizzate dalla sicurezza, dal prendersi cura dell’altro e anche di se stessi, dalla collaborazione e cooperazione nel raggiungimento di scopi comuni e da valori condivisi (es. sostenere l’altro nelle sue scelte, essere onesti e fidarsi dell’altro, ecc.), le relazioni disfunzionali, invece, si nutrono di sfiducia, insicurezza, egoismo e scarso decentramento, disonestà e sfiducia nell’altro, gelosia, sino ad arrivare a vere proprie richieste eccessive, abuso di potere e controllo da parte di uno dei due partner. Questo tipo di relazioni non alleggerisce il carico emotivo che quotidianamente tutte le persone sono costrette a gestire ma appesantisce, deprime, rende infelici e infine porta a lungo andare ad un vero e proprio esaurimento emotivo.